Economia e lavoro

Paradisi Fiscali, condizione legale favorevole ai detentori di grossi capitali

I «paradisi fiscali», sono dei territori piccolissimi o degli stati le cui legislazioni fiscali sono volutamente lassiste o inesistenti atte ad offrire una condizione legale e fiscale del tutto favorevole ai detentori di grossi capitali, indipendentemente dall’origine di questi ultimi. Secondo le stime, il numero dei paradisi fiscali varia dai 60 alle 90 unità.

All’origine alcuni di questi territori non erano che dei porti dove potevano trovare rifugio le navi dei grandi imperi europei dalle intemperie e dai pirati. Parliamo del 1800 a cui corrisponde la fase di attribuzione della bandiera di nazionalità britannica o francese alle isole dei Carabi che si trovano al largo dell’America Latina.
Negli anni venti incominciano a sorgere dei nuovi territori specializzati nella formulazione di legislazioni destinate a sottrarre i patrimoni alla imposte: Bahamas, Svizzera, Lussemburgo.

 

La fine della Seconda guerra mondiale segna la vera svolta per lo sviluppo dei paradisi: I territori sotto il dominio europeo furono tagliati fuori dal piano Marshall e non ricevettero, quindi,  aiuti economici sperati. Alcuni territori così, invece di continuare a produrre materie prime che non avrebbero più sostenuto la stabilità economica, si specializzano nell’accoglienza e nel concedere asilo ai detentori di capitali istituendo il segreto bancario e l’assenza di tassazione.

 

Con l’emergere degli eurodollari (capitali in valuta statunitense rimasti sui mercati esteri dopo la dichiarazione di inconvertibilità da parte del presidente Nixon nel 1971) negli anni 60 e dei petrodollari (mezzi di pagamento in valuta statunitense in mano ai grandi produttori petroliferi che in seguito al forte aumento dei prezzi del greggio dei primi anni settanta, risultarono inconvertibili per la svalutazione dichiarata dall’amministrazione Nixon nel 1971) negli anni 70, le grandi banche, le grandi imprese e la City di Londra, che attira tutte le grandi società finanziarie, appoggiarono lo sviluppo di queste strutture, avendo tutte da guadagnare nel poter disporre di zone con debolissima imposizione fiscale. A Bahamas, Svizzera e Lussemburgo si aggiungono, in questo periodo il Liechtenstein, le Isole del Canale, le Isole Cayman, Bermuda, Panama.

Nel corso degli ultimi trenta anni, proprio grazie alla liberalizzazione finanziaria che ha incoraggiato l’assenza di controllo sui movimenti di capitale su scala internazionale, il numero dei paradisi fiscali cresce vertiginosamente. I movimenti di capitale trovano nei paradisi un singolare luogo accoglienza che favorisce soprattutto la criminalità, avendo questa il tempo e modo di ripulire le proprie ricchezze, riacquistando limpidezza e carta bianca.

 

E’ stimato che l’attività dei paradisi fiscali è oggi caratterizzata da un giro di affari di oltre 1800 miliardi di dollari l’anno. Nei soli paradisi europei sono registrate più di 680.000 società e un numero più che doppio di trust.
I paradisi hanno contribuito e contribuiscono alla fortuna delle potenze finanziarie, implicate sin dall’origine nelle creazioni di questi paradisi fiscali. Difficilmente dunque le potenze accetteranno di disfarsene.

Una curiosità per chi volesse fare un bel giro turistico: Al boulevard Prince Henry di Lussembrugo, capitale dell’omonimo granducato, al nr. 13, tutte nello stesso palazzo si possono trovare le sedi di Pirelli, Mondadori, Tosi, Merloni Ariston e, 50 metri più in là, Meccanica Finanziaria, Lucchini, Autogrill, Franzoni, Gazzoni Frascara e Valentino.
Cosa ci fa il gruppo Mediaset a Malta? E l’Istituto Mobiliare Italiano a Madeira?
Non deve stupire che quasi il 50% (112 su 250) delle società quotate in borsa ed il 25% (22 su 88) dei gruppi bancari hanno partecipazioni, quasi sempre di controllo, in società residenti nei paradisi fiscali.

 

Bisogna quindi sapere che risparmi investiti in fondi comuni e simili, corrono il rischio di entrare nel giro degli investimenti praticati dalle società che hanno sede in un paradiso fiscale (in Lussemburgo, o alle Bahamas), entrando, quindi, in contatto con altro denaro di dubbia provenienza facilitando operazioni di candeggio o riciclaggio molto redditizie per le banche off shore e per le mafie internazionali…
Molti istituti di credito italiani, dal San Paolo all’Unicredito, dalla Banca Nazionale del Lavoro alla Banca di Roma, dalla Comit alla Banca Popolare dell’Emilia, sono titolari di società off shore con sede in paradisi fiscali, dove possono tranquillamente operare al di fuori di ogni controllo del fisco e al di fuori della legge.

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